giovedì 29 settembre 2016

Allargava la placenta


Una leggenda narra di una mamma che non voleva partorire.
Non voleva abortire. Voleva tenersi il bambino dentro, ecco tutto.
E così avvenne, il bambino non nacque.
«Se non è nato, non potrà mai morire» pensò la mamma. «In questo modo anch'io non morirò e vivremo sempre insieme».
A circa un anno di età il figlio non nasceva e sembrava starsene bene lì, da non nato. Non aveva mai pianto come un neonato, aveva sempre riso della sua non nascita, condividendo in pieno le intenzioni della mamma. La madre si contorceva dal ridere: «Le abbiamo fregate figlio mio, abbiamo fregato la vita e la morte!».
La donna ingrassava, certo, ma godeva di ottima salute: solare, serena e bella nonostante l'inevitabile mole.
Il figlio dentro imparava a parlare da solo, si faceva spazio, camminava a gattoni, conquistò poi la posizione eretta, allargando la placenta secondo le sue necessità.
La mamma intratteneva buone relazioni sociali, nessuno la prendeva in giro per la sua grassezza, anzi... tutti, incontrandola le dicevano: «Lei è bellissima!».
La madre, ingrassando a dismisura, divenne grande come una cameretta colorata con colori pastello da un figlio di tre anni che rideva là dentro con lei, si ruzzolava nel cosmo uterino, ci passeggiava attorno, allargando la placenta secondo le sue necessità.
Quando il figlio raggiunse i suoi cinque anni, la mamma divenne grande come un parco giochi, dove il cordone ombelicale si tramutava per lui in un dondolo divertente su cui dondolarsi.
Il bambino, alloggiando comodo in un buio e silenzioso liquido, non soffriva di solitudine: veri amichetti immaginari e non nati popolavano il suo mondo, condividevano le sue scoperte e sempre si interessavano alla sua bizzarra vita ridendo insieme a lui.
Fuori, tutti gli uomini che incontravano l'enorme massa di madre, porgevano i più vivi complimenti:
«Lei è immensamente grande, farebbe scoppiare d'amore chiunque!».
La donna, consapevole della sua spiccata personalità e della sua estetica originale, sempre ringraziava, senza però concedersi a nessuno.
La mamma grande faceva risate grandi come il figlio ormai quindicenne e innamorato perso del proprio quartiere madre, con le pareti della placenta ricoperte di poesie scritte col cuore come fanno gli adolescenti sinceri.              
Il quindicenne non incappò in nessuna crisi sentimentale. S'innamorò della sua mamma che lo ricambiava massaggiando la poetica pancia gigantesca con amorevole attenzione.
Il figlio sposò la mamma città che, vista l'età, gli aveva procurato un lavoro piacevole e utile a entrambi, togliere di mezzo dal cosmo uterino gli arbusti della vecchiaia, quelli che potevano nascere per noncuranza o eccessive preoccupazioni: solo in questo consisteva il suo lavoro. Continuavano entrambi a ridere di gioia, la mamma godendo quanto poteva del solletico che un figlio dentro di quell'età poteva suscitare e il figlio perché sentiva la madre ridere di gusto.
L'uomo, nella placenta, desiderò essere padre e divenne papà del continente mamma, proteggendola, coccolandola, prendendosi cura di tutte le rughe di madre che sempre più spesso continuavano a comparire. Fu un buon padre e anche lui invecchiava e diventava saggio come sua figlia madre, allargando la placenta secondo le sue necessità, siccome aveva capito il senso della sua amniotica esistenza, fondò insieme ai suoi vecchi amici immaginari un circolo di filosofi, discutendo intorno alla rara, curiosa idea della vita vissuta e mai nata.
Passarono tanti anni, decenni, forse un secolo o giù di lì.
La mamma non crebbe più, girava come un pianeta gira dentro l'universo e il figlio, marito, padre, nel cosmo placentato, continuava a togliere con estrema delicatezza gli ultimi arbusti cresciuti.
La madre si sbagliava quando pensò di non morire mai. Si accorse di non crescere più. Smise per un attimo di girare e disse:
«Ma io questo figlio mio non l'ho mai visto!».
«E questa grande madre mia io la voglio proprio vedere!» desiderò il figlio dentro, che per nascere sarebbe morto di sicuro.
Dal pianeta madre fuoriuscì per la prima volta una lacrima dall'occhio destro, un luccicone si compose nell'occhio sinistro del figlio, con la fretta di venire fuori. La placenta si staccò, si ruppero le acque, i cieli, le galassie tutte.

E una madre partorì suo figlio.

Racconto tratto da Placenta - 18 racconti di piccoli e grandi 
Illustrazione di Martina Fortunato

venerdì 19 febbraio 2016

Radio Freccia Azzurra ne "Gli Asini".






Con grande piacere, siamo lieti di comunicare che nel n. 31 della rivista Gli Asini, è contenuto un resoconto pedagogico dedicato al progetto Radio Freccia Azzurra.

Scritto da Matteo Frasca in collaborazione con le insegnanti della scuola primaria G. Perlasca, Daniela Tamburi, Bellina Ligurso, Anna Pepe, Giulia De Perretti e la presidente del Circolo Gianni Rodari onlus Rosa Tignanelli. E con la voce di autrici e autori della Radio.

http://www.asinoedizioni.it/products-page/rivista/gli-asini-n-31-gennaio-febbraio-2016/

lunedì 1 febbraio 2016

Famiglia



I bambini e le bambine che hanno lavorato a questa immagine, contenuta nel nostro Calendario dei Diritti 2016, ci insegnano che dentro delle grandi figure-funzioni, quella  dell'essere padre, madre e figlia o figlio ci sono tante realtà, tante unicità.
Ci illustrano che avere una famiglia è un diritto, cosa può voler dire la parola "famiglia", ciò che può esser contenuto dentro un'idea che solo a guardarla da lontano sembra avere una definizione univoca. Se scrutiamo attentamente dentro, più da vicino, scopriamo che ogni famiglia è diversa dall’altra e che ognuno ha una rappresentazione soggettiva della propria famiglia.
...Ben lontano quindi dall'affermare quell'univoco modello fatto da una madre, da un padre e dai figli, ciascun quadro familiare racchiude amori, conflitti, storie passate e future, fantasmi, vita. 

Da futura psicanalista infantile penso all' importanza delle identificazioni, ovvero al poter formare la propria identità nell'ambito delle prime relazioni. Allo stesso tempo penso a quanto sia poco rassicurante l'idea che il potersi identificare in una madre femmina e in un padre maschio sia la assoluta garanzia per la salute mentale infantile. Frequente è ad esempio l’associazione tra vissuti psicopatologici come l’autolesionismo o i disturbi alimentari e la negazione della propria femminilità nell’adolescente, oppure vissuti di confusione nell’identità di genere propria ed altrui, legati a stereotipi e miti familiari che inconsciamente viaggiano tra le menti di adulti e bambine/i appartenenti allo stesso villaggio/ cultura/ famiglia.
Penso invece a quanto sia fondamentale che la rappresentazione del femminile e del maschile sia coerente e libera nella mente degli adulti che crescono i bambini.

Sento dire spesso che la società non è pronta ad accettare modelli “altri” di famiglia e soprattutto di "figlitudine", che i bambini possono soffrire se hanno una famiglia 'strana'.
Penso di essere la società come tutti voi, noi. Penso che ogni adulto, bambino, ogni bambina sia la comunità, ne sia la parte, viva, per il tutto e che ogni adulto,soprattutto se insegnante, educatore, se lavora a contatto con minori ha il dovere di accogliere e pensare che se non ci prendiamo questa responsabilità, quella società a cui a volte astrattamente ci si riferisce, non potrà mai cambiare.

Federica Fabrizi