La parola nuova
Dal grande dizionario
Hoepli:
parola
[pa-rò-la]
s.f.
1 Unità linguistica costituita da un insieme di suoni rappresentabili
graficamente che, articolati e organizzati secondo le leggi di una determinata
lingua, rimandano a un significato: p. lunga, breve, tronca, piana; p.
comune, rara; dire, pronunciare, articolare, storpiare una p.
Abbiamo
parole per vendere
parole
per comprare
parole
per fare parole
ma ci
servono parole per pensare.
Abbiamo
parole per uccidere
parole
per dormire
parole
per fare solletico
ma ci
servono parole per amare.
Abbiamo
le macchine
per
scrivere le parole
dittafoni
magnetofoni
microfoni
telefoni
Abbiamo
parole
per
far rumore,
parole
per parlare
non ne
abbiamo più
Gianni Rodari
Sono stato educato alla parola. A coltivarne la necessità, la bellezza
e tutto il suo "possibile"; cercando - dentro - la molteplicità di
immagini e storie che da essa potevano scaturire ogni volta, trovando la ragion
d' essere di ogni futuro, facendo presenza l'assenza. Anche quando era
difficile da comprendere, la parola si faceva trovare, a patto che ci si
concedesse un tempo per cercarla. Con le parole sudate e trovate sono state
raccontate le evoluzioni e le involuzioni umane. Con le parole abbiamo scoperto
i significati che riguardano noi e gli altri, il progresso dentro la
condivisione. Con le parole è stata generata la politica, la scienza, ogni tipo
di umanesimo, ogni arte praticata, ogni tipo di
invenzione. Con le parole abbiamo dato significato a quello che i sensi
percepivano, alle sinestesie, alle immagini, ai suoni, alle storie, agli affetti,
alle promesse, agli impegni, agli stravolgenti innamoramenti.
Con le parole abbiamo
dato spesso voce al silenzio e al pensiero nel suo farsi parola. Con le parole
stringiamo un patto sacro con il mondo che si svela sotto i nostri sensi per
essere di nuovo rivelato agli altri... con la parola.
Cerco ancora nel mio lavoro di raccogliere le parole “originali”,
quelle di bambine e bambini, che raccontino tutto e che trovino sempre il
coraggio di farlo.
Ma la parola va protetta. La parola si può ammalare di bulimia e
anoressia. La parola può morire, può scomparire quando diventa sottofondo,
chiacchiericcio, frastuono, balbettio, sproloquio, coda (e non testa) di un'
emozione. Quando è tradita. Quando diventa strumentale e smette di essere
epifania e rivelazione. Quando è talmente svilita da essere impotente, quando
la si violenta, la si vìola, la si masturba.
Quando non pesa. Quando non si nutre o non viene nutrita. Può
scomparire sotto il vomito nauseante di parole finte, pseudoparole obese eppure
inconsistenti che la schiacciano con il loro stesso rigurgito giallognolo, che
tutto copre, che tutto tramuta nell' urlo indistinto che mette a tacere il mondo,
il quale invece - nella parola - cerca conforto, rifugio, gioco infinito,
espressione ostinata. La parola è bella, talmente bella da essere venerata, se
davvero nasce per vivere. E proprio attraverso di noi.
Provo un imbarazzante disagio a credere che le decisioni per i
complessi mutamenti che stanno avvenendo sotto i nostri occhi, non siano
composte da parole, ma dalle impressioni descritte dalle pseudoparole; che
decisioni epocali possano scaturire da dettatini imposti da reazioni commosse o
rabbiose, che la politica o la critica possa essere solo una contrapposizione
di umori, di bile, pancreas e malinconiche viscere, come se di nuovo fossero in
voga le teorie umorali del medico Galeno, alla base di ogni sapere e azione
conseguente. Senza alcun logos, senza la traccia di alcuna narrazione o
rapsodia fruttuosa delle conoscenze acquisite o promesse dalla curiosità umana,
senza alcun tessuto, senza alcun sofferto pensiero fatto di parole stratificate
dalla storia, dai saperi tramandati dal tempo e dallo spazio e dai silenzi pensanti
tra la nascita di una parola e l'altra.
Se lo storytelling è questo, ne sono spaventato.
Sono terrorizzato dalla
marcia impazzita delle paroline, delle parolone, delle parolacce, delle
parolucole, delle parolette, dei tanti parolieri. Sono queste che uccidono le
storie, la Storia, la parola. Ogni pensiero storico e politico, ogni suo micro
e macro progresso è fatto solo di parole, quelle autentiche e faticose da
mettere insieme, ma che da sempre hanno generato mondi nuovi e affatto irreali.
Mi stuccano anche le matitine che nell’ arco di poche ore utilizzano un
‘immagine che dovrebbe essere guardata con quello sgomento storico con cui fare
i conti per i prossimi secoli e invece
si trasforma, ahimè, in un voyeuristico
e già consumato esercizio di stile pseudoartistico, che la Storia in questo
momento non merita e di cui nessuno di noi ha bisogno.
E se l’immagine di Aylan deve diventare simbolo di qualcosa di
davvero importante, se deve trasformarsi in un una parola nuova, che la si
lasci in pace per un bel po’. Che non si lasci come al solito al mare il ruolo
di custode supremo del segreto di ogni vita persa e mai conosciuta. Che si
distolga lo sguardo, che la si tratti come un pensiero che deve essere cercato
con fatica e sofferenza autentica dentro di noi e che se libero farà il suo
giusto corso; che la si lasci lentamente trasformare in una parola che ancora
non è stata pronunciata. Che non la si consumi subito con i nostri occhi
assetati di una pseudo espiazione, che tarderà ad arrivare e mai attraverso
tali scorciatoie.
E in attesa di trovarla questa parola che tutto cambierà,
proteggiamone le tracce, i segni, raccontiamo il presente del padre, entriamo
in contatto con il suo dolore, non lasciamolo solo. Cerchiamo significati. Raccontiamo
con lentezza le storie di chi si è avvicinato, di chi è stato fermato, di chi
sta piangendo e vuole essere consolato, di chi è trattenuto, di chi sta
pensando di partire nonostante tutto, di chi si sta spostando, di chi ha deciso
di non partire, di chi ci dona i suoi significati raccontandoci i motivi
diversi di ogni spostamento, di chi crede che si salverà e avrà il futuro che
merita, anche se adesso sembra
impossibile.
E aspettando di conoscere parole nuove, agiamo attraverso quello
che sappiamo e che abbiamo imparato, attraverso le parole che ci appartengono e
che non vogliamo svendere, perdere, sostituire.
Credo non siano poche, se ce ne ricordiamo. Anche in questo momento.
Matteo Frasca
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